Potare le rose non è solo giardinaggio: è attesa, osservazione, talvolta dubbio. E non sempre si capisce quando farlo. Cerchiamo di capirne di più.
Potare le rose può sembrare un’operazione da nulla. Una cosa da fare quando serve. Eppure, sbagliare il momento o il modo può trasformare una fioritura promettente in una mancata fioritura. Ogni varietà ha le sue pretese, ogni stagione le sue possibilità. È un po’ come preparare una torta senza sapere bene quando accendere il forno: gli ingredienti ci sono, ma il risultato rimane incerto.
Le varietà di rose sono tante, forse troppe. Oltre ventimila, dicono. Eppure si possono raggruppare in tre gruppi principali: cespugliose, arbustive o rampicanti, e miniature. La tipologia di rose cambia proprio il modo di metterci mano. Le cespugliose vanno sfoltite per bene, tagliando i rami storti o malmessi a circa 30 cm da terra. Quelle rampicanti si trattano con più cautela, di solito si accorciano solo in punta, giusto per stimolare i rami laterali. Le miniature invece sono creature fragili, basta poco: via solo i rami secchi o vecchi, senza strafare.
Quando potare le rose per evitare disastri
Non esiste un giorno fisso, tipo “15 marzo” o “primo sabato d’aprile”. Si guarda il clima, si osservano le gemme. Quando iniziano a gonfiarsi, lì si può iniziare a intervenire. In zone più miti, anche tra novembre e dicembre. Dove fa freddo, meglio aspettare marzo. La regola è semplice: mai tagliare quando la pianta è ancora intorpidita dall’inverno.
Chi ha a che fare con rampicanti sa che a settembre o ottobre conviene accorciare un po’ e sistemare i tralci, prima che le piogge e il vento facciano il loro. In ogni caso, prima si parte con la rimozione dei rami secchi, storti, spezzati o malati. Un taglio netto, appena sopra una gemma, con inclinazione di 45 gradi.
Le varie fasi della potatura
Giugno è un mese strano. Le rose hanno già dato il loro spettacolo, e sembra quasi scorretto tornare a potare. Ma farlo può aiutare le varietà rifiorenti a regalare un bis sul finire dell’estate. In pratica, si eliminano i fiori appassiti e si ridefinisce un po’ la forma. Anche qui, attenzione: il taglio va fatto sopra una gemma e sempre obliquo. Alcuni scelgono di dare una forma rotonda al cespuglio, altri preferiscono una linea più spontanea. Ognuno ha la sua bislacca teoria.
Non guasta nemmeno eliminare qualche ramo interno, quelli che tolgono luce e aria al cuore della pianta. Talvolta, lasciare troppa vegetazione crea un microclima umido e sgradevole, un invito a parassiti e muffe.
In primavera, invece, si sistemano i danni lasciati dal freddo: rami gelati, incrociati o cresciuti in direzioni astruse. Si tagliano via senza remore. I polloni, quei rami che partono dalla base e che sembrano sempre voler far di testa loro, vanno strappati alla radice. Non potati: strappati.
La potatura in fase di luna calante, poi, non è solo diceria popolare. In quel periodo, la linfa scorre più lentamente. Il taglio cicatrizza meglio, la pianta soffre meno. Si evita la dispersione di energia, e si riduce il rischio di marciume.
E per quanto riguarda gli attrezzi? Cesoie e forbici affilate, comode, adatte alla propria mano. Non serve un arsenale, basta che funzionino bene. I rami robusti non si tagliano con le forbici da cucina, anche se la tentazione può esserci.